"Ma l'amore no,
l'amore mio non può
disperdersi nel vento con le rose
tanto è forte che non cederà,
non sfiorirà."
da "Un pesciolino"
di Pier Paolo Pasolini
con Monica Trettel
suoni: Stefano Bernardi
regia: Nazario Zambaldi
Nello spettacolo "Pesciolino", uno "zzzzzzzzz" attraversa la memoria - presente - della protagonista, un ronzio che è interferenza, o un "renzio", interruzione traumatica dell'amore, annegamento dell'amato Renzo, vent'anni prima.
E sott'acqua resta pesciolino, il femminile, in apnea, aspettando di essere ri-pescato.
La "z" di "zitella" e' anche una categoria, quella della "zeta" appunto, la diversità, e' il ronzare dei ragazzi, "i maschi", che alla protagonista sembrano avere una direzione precisa, "padrona dì se'" e' la "z" di "nazista", del conformismo perbenista borghese, della cosiddetta normalità insomma.
Se il pretesto può apparire datato - il complesso legato all'essere zitella della protagonista collocato negli anni '50 - si tratta di un'inattualità funzionale alla messa in scena, che vuole
essere una "macchina del tempo", ove il tempo è energia, spirituale, memoria, appunto, presenza, psiche. E allora il gioco del teatro diviene magico, si avvolge in un'elica o una spirale, è esercizio in vita, dal vivo. La categoria della "Z" è l'eterno escluso, che solo può darci senso, altrimenti "SIAMO TUTTI NAZISTI"... dice, la protagonista.
Prodotto dal piccolo festival CRATere, per la regia del direttore, Nazario Zambaldi, in scena Monica Trettel e Stefano Bernardi per la parte sonora.
"Un pesciolino" è il titolo dell'atto unico scritto nel 1957 da Pier Paolo Pasolini per Adriana Asti che poi non lo recitò mai, forse ispirato da Laura Betti, negli anni di "Ragazzi di vita", "Una vita violenta" e delle "Ceneri di Gramsci". Se il testo si connota per una leggerezza e un'ironia per lo più assenti nella grande produzione pasoliniana degli anni Sessanta, i ricordi amorosi che si rincorrono nella memoria della protagonista, testimoniano però un'incomunicabilità che è incomprensione di se' e del mondo. Il testo ha un impianto da teatro dell'assurdo con echi che fanno pensare sia ai "Giorni felici" di Samuel Beckett o alla "Cantatrice calva" di Eugène Ionesco, ma lo sguardo critico e la profondità di analisi dell'autore emergono e sono dichiarati in più punti.
Questa messa in scena, evita la semplificazione surreale a favore dell’ispirazione poetica dell’autore. Cerca, attraverso l'apparente rassegnazione del personaggio femminile, di leggere la possibilità del riscatto, la speranza di ritrovarsi, come pesciolino, risalendo la corrente. L'ingenua incoscienza del femminile, vittima sacrificale cui Pasolini pare guardare con affettuosa partecipazione - si ricordi la poesia dedicata a Marylin - qui, in questa messa in scena, viene lasciata, il femminile riemerge infine da una minorità divenuta sofferenza, psichica. La donna del nostro atto unico, il nostro pesciolino ritrovato, si ribella, caccia il ronzio maschile, sorride della "nuova barbarie", gioca a fare la bambina seduttiva, la bambola, per lasciare quei panni, le maschere, a quelli che "portano i pantaloni": preferisce altro, vivere, o semplicemente ...preferisce, scivola, o guizza, via.
SCHEDA SPETTACOLO
Produzione:
Teatro PraTIKo, C.R.A.T. Centro Ricerca Artistica Teatrale
teatri di silenzio, CRATere festival
META www.metaart.it